Il ritorno del dio Portuno (racconto di Manlio Brunetti)

Ma prima di concedersi alla sua fine Portuno ebbe un sussulto di patetico orgoglio, non di spavalderia o di sfida insensata. E il narrante è stato in forse parecchio se descriverlo o no, dato che non rientrerebbe, un brano di questo genere, nei moduli propri del "racconto". Ma questo, chi non se n'è accorto?, è tutto fuori delle righe, tutto strano, tutto ai limiti di ogni genere letterario e narrativo; e perciò, brano più brano meno, non peggiora né migliora l'insieme. Si è già detto che Portuno si era fatto prendere, strada facendo, da spropositati o almeno sproporzionati e bislacchi pensieri filosofici. Capita a tutti, anche a chi di filosofia non conosce parola. Tra costoro, anzi, ogni tanto qualcuno, senza proporselo, mette nel sacco presuntuosi e saccenti. Vi ricordate Bertoldo? Mezzo di quello avrebbe fatto fischiare le orecchie e anche ad Hegel. La realtà e la vita non risparmiano problemi a nessuno  e li spiattellano in faccia, costringendo a pensare anche a chi non ha voglia e preparazione di sorta ma, fedele alla realtà, sa mantenere i piedi ben saldi per terra, non va tra le nuvole come un pallone gonfiato, non si compiace di fumo. Diceva bene quel tale: "per non fare filosofia bisogna fare filosofia": per dire, ad esempio, che Dio c'è, bisogna pur fare un ragionamento; ma anche a sostenere che Dio non c'è toccherà portare qualche argomento, e un argomento sarà più convincente di un altro, e tutto questo è filosofia, magari con la effe minuscola.
Gli balenò l'idea ch'egli non sarebbe potuto scomparire; non sarebbe riuscito a nessuno, nemmeno al nuovo Dio, sprofondarlo nel nulla, sottrarlo all'esistenza...Per la semplice ragione ch'egli non era mai esistito di quella esistenza che può essere fatta cessare. Egli, come tutti gli dèi, semidèi, spiriti della natura, non era come una pietra, un albero, un cavallo, un uomo, che c'è e te lo trovi davanti e continua ad esistere indipendentemente da te, di una sua propria esistenza che possiede e mantiene anche se tu non ne sapevi niente, non ci pensi affatto. Quella è una esistenza bruta, materiale, fisica, osservabile e misurabile, soggetta a tutte le vicissitudini del tempo e dello spazio, premuta e costretta e limitata da tutte le parti, erosa e precaria. E no!, gli dèi, semidèi e spiriti della natura, di tutte le religioni - in questo non c'è differenza - posseggono una esistenza indeperibile, stabile, immortale, perchè immateriale, più nobile, superiore, come quella del pensiero, delle idee... Un pensiero, una volta che s'è formato nella mente, tu puoi pure dimenticartelo. Ma se qualcuno l'ha appreso, se è stato conosciuto..., ormai, finché ci sarà sulla terra un cervello pensante, quell'idea esisterà, tu lo voglia o no, e produrrà benefici o disastri nella storia dell'umanità, senza che qualcuno possa fermarla, tranne una idea, un pensiero contrario e di forza maggiore, che cioè seduca e convinca un numero più grande e pugnace di credenti e seguaci. Perch'egli, dunque, potesse scomparire definitivamente nel nulla, non bastava davvero ch'egli fosse stato declassato a una larva di semidio in una sorta di noiosissimo limbo, o che i cristiani gli avessero abbattuto il tempio e disperso sacerdoti e sacerdotesse, o, infine, che l'acqua salata del mare vincesse l'acqua dolce del fiume ecc..ecc..; c'era una sola condizione: che di Portuno nessun uomo sapesse più nulla, nessuno più lo pensasse, nemmeno per sostenere che non c'era mai stato, era stato solo una invenzione del politeismo, dell'idolatria, di religioni naturalistiche...Allora sarebbe diventato un pensiero non più pensato, e un pensiero non più pensato è un nonpensiero, uguale a nulla.
Portuno si lasciò andare, tranquillo. Perchè: o finiva l'intero mondo con lui, si estingueva l'intera umanità, e allora nessuno avrebbe pensato più nulla: e questa non era la fine solo per lui, ma per tutti (come disse, a sua insaputa, quel tale "muoia Sansone con tutti i filistei"); o la vita umana continuava più o meno come prima, e qualcuno, ricordandosi magari per caso di lui, lo avrebbe tenuto in esistenza. Del fiume, veramente, a questo punto e stando in quest'ordine di idee, non gli importava più niente: quello ormai, da quando era prevalsa la nuova religione, non era più come un bambino che avesse bisogno di essere portato, guidato, trattenuto o sospinto...; era autonomo, azionava mulini, irrigava i campi, straripava e inondava, faceva come gli pareva. E quanto a se stesso..., come già detto, assolutamente tranquillo. I nuovi credenti stavano cambiando il nome di S. Maria in Portuno in quello di S. Maria del Piano, come gli aveva detto per istrada qualcuno, proprio perchè del paganesimo tutto si estinguesse col non ricordarne più nulla. Ma non tenevano conto, gli ingenui, che, credenti o no, ci sarebbero stati sempre gli storici... E vuoi che l'uno o l'altro, magari dopo anni, decenni, secoli, non avrebbe ritrovato, menzionato e documentato Portuno? Io però non c'entro niente, non ho questo merito o demerito che sia. Perchè, a me, la patente di storico non è passato mai, fortunatamente, nemmeno per l'anticamera del cervello a nessuno di dàrmela. E temo proprio che, dopo queste pagine, non sarò riuscito neppure a riportarmi un sei meno come raccontatore di favole.