Fractula

Frattula è la scoperta recente di una realtà locale antica, allora tanto nota e rinomata quanto poi, invece, via via sempre più indefinita e dimenticata. Il toponimo apparve per la prima volta a Mons. Alberto Polverari, il quale stava cercando di ricostruire la Diocesi di Senigallia com'era tra i secc. VII-VIII. Molte pergamene di notai (imperiali, papali o semplicemente rurali), stese per registrare contratti di donazione, compravendita, permuta, affitto, canoni d'ingresso e annuali, di "pezzi" di terra o di case, nominavano Frattula già a partire dal sec.IX, e poi per oltre la metà del sec. XIII, in un crescendo impressionante che poi improvvisamente spariva quasi del tutto. Questa denominazione ancora ignota, ma che compariva a fianco di altre molto familiari, quali Corinaldo, Monterado, Tomba (l'attuale Castel Colonna), Ripe, Brugnetto, Roncitelli e Scapezzano, fecero capire a Mons. Polverari che questa Frattula, così tanto nominata per più di tre secoli, doveva aver avuto il suo proprio splendore. Egli cercò dunque di localizzarla per tentare di darne la reale dimensione territoriale. Subito fu chiaro che detta Frattula dovesse trovarsi all'interno del comprensorio dove sorgevano i comuni sopra menzionati, formando una sorta di ferro di cavallo situato nel versante sinistro della Valle del Cesano, attraversata al centro dall'omonimo fiume. Il problema che si presentò a Mons. Polverari fu quello di collocare Frattula, con la dovuta precisione, all'interno di un territorio che appariva già tutto occupato per poter ospitare un'altra realtà autonoma, oltre a quelle già menzionate. E Polverari, dopo qualche oscillazione fra Monterado e Tomba, assegnò Frattula a quest'ultima, restringendola alla odierna Contrada di Francavilla, dove poi se ne riconobbero i probabili resti. 
La radice etimologica è il verbo "fràngere" (da cui "fratta", "anfratto", "frazione", "frattura",...). Da notare che "fracta" (col suo diminutivo "fractula") può significare anche il derivato "siepe", quindi anche "ostacolo, impedimento ad entrare, che spezza la continuità del cammino"..., ma primariamente dice luogo, percorso interrotto, discontinuo, a dislivelli ravvicinati, ingombro di folto e intricato sottobosco, pertanto disagevole, anche scosceso... Caratteri morfologici oggi ravvisabili solo in alcuni tratti delle pendici ai lati del fiume Cesano, ma che dovevano essere molto diffusi intorno al Mille, quando gli interventi umani sull'ambiente geofisico erano  più limitati e sporadici. Polverari pago del suo lavoro non approfondi ulteriormente l'argomento, data anche la scarsa quantità di documenti ancora disponibili. Chi riprese le ricerche, avendo avuto nel 1990 l'incarico dal Centro di Studi Avellaniti di condurre



la pubblicazione delle Carte fino al 1325, fu Manlio Brunetti, il quale si propose di approfondire la conoscenza di Frattula. Frattula, dal 1115, ossia da quando se ne ha la prima notizia, fino agli anni '80 del Duecento, in cui "ufficialmente scompare", non era un castello o una corte minore (insieme di campicelli attorno ad un agglomerato di case di contadini) dipendente da Monterado o da Tomba. Semmai il rapporto sarebbe inverso: Monterado e Tomba erano infatti borghi di scarsa entità e nussun prestigio al suo confronto. Dei sette o otto castelli (o corti o borghi) e delle almeno cinque chiese rurali che formavano la compagine di Frattula, tutto è scomparso dalla fine del secolo XIII, tranne il borgo con la chiesa e la "Domus Monachorum" di Francavilla. Ciò, insieme all'incompleta visione dei documenti, deve aver indotto Polverari a identificare Frattula con Francavilla, che è soltato una parte di verità. Se, poi, ci si chiedesse la ragione della "fine di Frattula", allora la risposta documentaria è che il bisogno di prestigio e di conseguente maggior sicurezza in tempi di usurpazioni violente da parte di vecchi nobili vogliosi di signoria indusse i Monaci di Fonte Avellana a consigliare e concedere a una venticinquina di capifamiglia di Frattula di erigersi un castello fortificato, ampio e per così dire "moderno", al posto del vecchio Monterado. Frattula così ebbe un suo "polo" verso il Cesano nel nuovo Monterado (1267) e l'altro suo polo in Tomba che da allora incluse nel suo territorio anche il Montagnano e la Bruciata che prima non le appartenevano. Avvenne dunque una razionale redistribuzione del suolo frattulano; e la vecchia galassia si dissolse per dar vita a due centri che potessero allearsi strategicamente con Ripe a guardia delle valli del Cesano e del Nevola-Misa. Frattula sopravvisse nelle costituite nuove entità amministrative e territoriali, alle quali facevano riferimento le plebi rurali: per cui i vecchi borghi e castelli cominciarono a spopolarsi e andare in abbandono; rovina che divenne totale per le morìe di peste che afflissero anche queste zone durante tutto il sec. XIV.
Ma l'autentico, e più significativo, lascito che la storia di Frattula ci ha lasciato è un altro rispetto a quello che abbiamo appena detto. Frattula deve la sua eccezionalità al fatto che non ci fu Medioevo: nel suo periodo di massimo splendore non si ebbero nel suo territorio situazioni di sfruttamento e ingiustizia da parte dei Signori, dei ricchi a danno dei miseri e dei meno abbienti. Frattula la possiamo caratterizzare come un'autentica "signoria dei poveri". A Frattula "signori" erano i Monaci dell'Avellana, coloro che, tra gli eremiti fondati da S. Romualdo, compresero appieno e insegnarono a praticare una dimensione non marginale o secondaria, ma essenziale e primaria della religione: "il cristianesimo sociale".

Il monastero era in possesso di una grande quantità di terreni cedutigli molti secoli prima, durante il tramonto dell'Impero Romano a seguito delle invasioni barbariche, dai proprietari che vedevano minacciati i loro possedimenti e speravano nella protezione che il Papa e l'Imperatore garantivano ai Monasteri e ai Vescovi.I fondi in possesso al monastero erano concessi in enfiteusi (99 anni quando si trattava di terreni aridi, boschivi o paludosi da dissodare o bonificare) o ai vecchi donatori (famiglie in qualche modo potenti ma bisognose di redditi) o a semplici contadini e braccianti che potevano contare solo sul lavoro della famiglia. La terra che si dava in affitto non poteva essere di misura inferiore a quanta ne servisse al mantenimento dignitoso della famiglia contadina. Il costo d'ingresso del fondo (laudemio) era pagato una tantum, in genere in moneta corrente.Esso differiva sia in base alle dimensioni del fondo che alla disponibilità dell'affittuario; per i non abbienti poteva essere anticipato dal proprietario medesimo (cioè l'eremo di S. Croce di Fonte Avellana). Il canone annuale era non più che simbolico, spesso con prodotti del fondo o comunque in natura, come ad esempio una frittata, una lonza o un filone di pane. A differenza di altri proprietari, compresi Enti ecclesiastici e Monasteri, che lasciavano al fittavolo appena il necessario per sopravvivere. Di tutto il reddito e i prodotti del lavoro agricolo veri ed unici beneficiari erano i contadini. Il ricavato dei canoni d'affitto veniva usato dai monaci in parte per il loro sostentamento in parte per la manutenzione dei luoghi sacri, mentre il rimanente era rimesso a disposizione della comunità contadina. Gli affittuari praticavano la "divisione del lavoro" nelle diverse attività dell'agricoltura, della silvicoltura, dell'utilizzo delle acque, nella rotazione delle semine e nella letamazione dei terreni, nella selezione e nell'allevamento di razze pregiate di animali da stalla e da cortile, nelle varie branche dell'artigianato sussidiario; mettevano a disposizione gli uni degli altri le cognizioni e le esperienze acquisite; organizzavano e gestivano democraticamente la vita comunitaria, il lavoro, il tempo libero, dotandosi di ospedale, di cimitero, di strumenti e di bestie da lavoro per chi non potesse averne in proprio, di risorse di sussistenza per vecchi ed invalidi, per eventuali carestie ed epidemie. Tutto procedeva sotto la guida spirituale e tecnica dei monaci dell'Avellana che fraternamente dimoravano in loco a turno per l'anno intero, alloggiando presso la "Domus Monachorum" (che era annessa alla Chiesa di Francavilla). Dopo quattro secoli di pace e di prosperità, Frattula - a partire dal 1267 fattasi magnanimente assorbire da Monterado e da Tomba - rientrava nel "purgatorio terrestre" che era la condizione comune a tutti i contadini della cristianità. Questa fu un'esperienza avanguardistica, profetica, un'autentica "rivoluzione sociale": il tentativo di perseguire una condizione di giustizia sociale. La collaborazione fra contadini aveva instaurato un comune sentire e una condivisione intensa di gioie e dolori; la religione vissuta nella sua sostanzialità, nello spirito evangelico, come unione con Dio: tutto questo non era più realtà, ma sopravviveva nella memoria e nella nostalgia e dava forza alla speranza, e spingeva a continuare ad esigere dalla terra attraverso il proprio lavoro più di quanto il proprietario fosse disposto ad impegnare di capitale per bonificare, innovare, ripristinare i danni dovuti alle avverse condizioni atmosferiche; e aguzzava l'ingegno per potersi risarcire dell'avarizia padronale e far vivere meglio la sua famiglia. Diventavano diversi i rapporti fra colono e padrone, ma non gli usi e costumi interni al mondo contadino. Né le famiglie erano tentate dalla nuova situazione di trasferirsi altrove: la condizione contadina in nessun altro luogo, sotto nessun altro padrone, era migliore né sarebbe stata possibile altrove la complicità fra coloni che qui si era fortunatamente affermata. La fama del contadino marchigiano in genere, delle nostre colline e valli in particolare, è dovuta a questo nostro lontano passato, non completamente mai passato dalla memoria e mai estintosi nelle tradizioni.